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Sindacato Italiano Lavoratori Poliza Locale

Silpol Sindacato Italiano Lavoratori Polizia Locale

“Verso la Riforma della Polizia Locale, quali prospettive?”

Pubblichiamo il contributo di Nino Fiorenza, presidente del Mapli, in merito al tema della Riforma della L. 65/86.
E’ importante assumere su di noi la consapevolezza di ciò che essa rappresenta superando taluni limiti che ci appartengono.

Per gli amanti dei testacoda, dei ribaltamenti di senso, dei paradossi, eccone uno straordinario. Argomento: “La grande Riforma, quale sarà il ruolo della Polizia locale?”.
Titolo molto impegnativo. In questo quadro, avendo assistito ad un dibattito sul destino della Polizia locale italiana a Cosenza – negli ultimissimi giorni – ed avendo registrato la diffusa modalità della autoreferenzialità associativa e sindacale dei partecipanti per cui, come se non si dovesse parlare del destino della categoria a cui apparteniamo o siamo appartenuti, ho perfino sentito dire da un Comandante di una Polizia locale metropolitana – che parteciperà ai lavori della Commissione parlamentare sulla riforma in quota ANCI (che grande cortocircuito!) – “che la riforma deve cominciare nella testa di ciascun appartenente alla polizia locale”.


“Tutti costoro – cioè Noi – devono smettere di pensare al 27 del mese e lavorare sodo per dimostrare di poter giungere alla agognata meta di fare i cavalier serventi”. Per lui, naturalmente, è invece festa ogni mese. C’erano anche altri rappresentanti di Associazioni Professionali che hanno dissertato (si fa per dire) sulla primazia di una legge di riforma piuttosto che di un contratto e viceversa e/o sul ruolo catartico dei Comandanti, come se da queste cose dipendesse il domani. Parecchi di costoro, fra l’altro, è risaputo, rappresentano sè stessi (proprio nel senso numerico), come tanti Narciso che si specchiano nel laghetto. Questa è la cartina al tornasole della situazione: se tanto mi dà tanto, vorrà dire che nulla cambierà nel cambiamento. In attesa che risorgano Cristo o Marx, dobbiamo rilevare la piena secolarizzazione del termine cazzeggio nel dibattito pubblico in materia.

Quindi, modestamente, voglio dire la mia. Cercando di dividere il loglio della banalità sesquipedale e infamante dal grano della
riflessione acuminata, io penso, ribaltando l’assioma, che la riforma deve cominciare, invece, dalla coscienza morale che è in Noi, nel nostro cuore, e che reclama Verità e Giustizia per noi e per le persone che vogliamo rappresentare e che vogliono farsi rappresentare, appartenenti ad una comunità di lavoro fondata sulla solidarietà e sul cameratismo. Partiamo da un dato che si ritiene assodato. Quello dell’espansione del ruolo della Polizia locale. E’efficiente? E’utile? E a chi, in particolare? O è una deriva di comodo? O è semplicemente un libro dei sogni che si consuma nell’attesa delle magnifiche sorti e progressive che dovrebbero realizzarsi in un futuro che verrà? Gli
appartenenti ai Corpi e Servizi vedranno anche una espansione delle tutele professionali, contrattuali e previdenziali o dovranno continuare a subire l’onta dell’aumento delle competenze da svolgere senza nulla a pretendere? Una molteplicità di domande a cui dobbiamo tentare di dare risposte.

Nell’abisso reale scavato attorno alla semplice combinazione lessicale tra le definizioni di safety e security disegnata dalla Legge 48 del 18 aprile 2018 – quasi un calembour – si è, di fatto, lasciata precipitare la Polizia locale, investita di eccessivi carichi di lavoro e di responsabilità che sfuggono all’elementare rapporto tra responsability e accountability, per restare alla terminologia anglosassone oggi in voga, cioè al dovere di agire e al rendere conto delle azioni poste in presenza di risorse scarse o, come è assolutamente evidente, in assenza di esse.

Una volta esisteva la politica statale della repressione (penale). Fuori dalla repressione nulla. Negli ultimi due lustri abbiamo dovuto imparare che tutto è diventato più complesso. Sicurezza. Politiche della sicurezza. Managers della sicurezza. Contratti della sicurezza. Politiche delle Città. Piani di sicurezza interforze. Tutti termini ed espressioni inusitati che sono stati riempiti di contenuti, ruoli,
funzioni, legittimazioni sempre più netti e precisi, all’intersezione tra istituzioni e aspettative dei cittadini.

In questa mission, indicata con le luci fluorescenti – la gestione del disordine quale routine quotidiana che non si elimina, ma si rende il più possibile controllata per difendere e rendere più accettabile la convivenza – sono comparsi sulla scena e ne sono diventati attori protagonisti, strani attori: Sindaci, Aree metropolitane, Comuni, Quartieri. Insomma, la Polizia locale. Su questi è stata scaricata interamente l’intera attività finalizzata alla soddisfazione del bene “sicurezza”.

Con uno scivolamento inesorabile, in capo alla Polizia locale lo Stato ha posto attività, responsabilità e pericoli che non sono ascrivibili ai rischi di una funzione di P.L., ma che appartengono agli stessi che corrono quotidianamente le Forze dell’Ordine.
In questo vero e proprio continuo ed inesorabile smottamento di ruoli, responsabilità e dinamiche organizzative, la polizia locale è stata investita totalmente di compiti e funzioni che dovrebbero spettare ad altre agenzie della sicurezza, quelle inserite nella Legge 121/81. Appare veramente singolare che in capo ai Corpi/Servizi di Polizia locale si faccia ormai pedissequamente discendere la peculiarità di una funzione disciplinata da un Organo statuale. Ma c’è di più. Il principio di sussidiarietà verticale nel suo significato più profondo, secondo il
quale il livello gerarchico di grado superiore (lo Stato e le sue forze di Polizia), laddove chiamato in causa per sovvenire ad ogni necessità di quello subordinato (i Corpi di Polizia locale) dovrebbe intervenire con le proprie strutture materiali ed umane per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, è stato completamento ribaltato.

Per svolgere tali compiti la Polizia locale non dipende dal Sindaco, ma, come visto dal Prefetto o dall’Autorità Giudiziaria, quale soggetto meramente servente. Pertanto non si ha una allocazione sussidiariamente calata verso il basso delle funzioni di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, ma si ha l’utilizzo meramente utilitaristico di una componente dell’amministrazione locale per raggiungere scopi propri di altre amministrazioni o Poteri dello Stato, senza che alle polizie locali residuino particolari margini di autonomia, a tacer d’altro. Viene attuato in pratica, invece, il principio di sussidiarietà orizzontale. Tutto quello che è successo durante l’intero arco
della pandemia è puramente paradigmatico di questo assunto.

Ma tutta questa frenesia di attività operativa deve essere confrontata con la realtà fattuale dei servizi dispiegati sul territorio comunale dai Corpi/Servizi, ampiamente sottodimensionati negli organici, alle dipendenze di enti che soffrono di situazioni
economiche al limite del collasso e del dissesto, con l’utilizzo e l’impiego di un gran numero di personale precario, posto in larghissima misura a carico del bilancio regionale, con limitazioni di orario (part-time) che mortificano le aspettative dei lavoratori e la capacità di fronteggiare i sempre più crescenti bisogni collettivi ed in alcuni casi e, perfino, con stipendi pagati a singhiozzo ed enormi ritardi nel
pagamento del salario accessorio. Ma senza recedere da queste considerazioni, questo riuscitissimo tentativo di scaricare sull’anello più debole della catena (la polizia locale) l’intera attività di controllo, appare ormai insopportabile perché c’è sempre il peccato originale: il poliziotto locale, nonostante abbia gli stessi doveri del poliziotto di Stato – ovvero proteggere la sicurezza dei cittadini, far rispettare la legge ed arrestare i delinquenti – gode di tutele ben diverse. Se un agente di Polizia locale si fa male, lo Stato non lo tutela come tutela i suoi poliziotti. Per soprammercato: i nuovi contratti negli enti Locali verranno finanziati con i bilanci autonomi.
Cioè = ZERO, avuta considerazione della situazione finanziaria degli enti. Non possiamo quindi non evidenziare come, ormai da troppi anni, con particolare riferimento alle funzioni proprie dei Corpi e ai famigerati protocolli istituzionali ed operativi fra i soggetti politici rappresentativi delle istituzioni in ambito territoriale per le politiche di sicurezza integrata, la polizia locale viene abitualmente impiegata in attività che poco hanno a che fare con i propri compiti d’istituto, svolgendo spessissimo di fatto attività di pubblica sicurezza e di ordine pubblico, nonché di contrasto alla microcriminalità per induzione.

La Polizia locale si trova impantanata in mezzo al guado: nata tradizionalmente polizia amministrativa, l’evoluzione ha finito per caricarla di nuove incombenze, ponendola sotto il controllo di autorità di rilievo sovra comunale ma sempre con profili di sussidiarietà orizzontale e limitazione dei compiti assumibili. Ma tornando alle domande iniziali, è doveroso tentare di dare delle risposte. E per fare questo dobbiamo aggrapparci a due strumenti imprescindibili utili allo scopo: il principio di realtà e un approccio razionale. Prendere atto dello stato dell’arte e ragionare risalendo alle cause.

Le funzioni originarie della polizia locale sono indubbiamente quelle di polizia amministrativa. Questa è una funzione che comprende il complesso di poteri attribuito alla P.A. per garantire da turbative lo svolgimento delle attività disciplinate da una legge ammnistrativa. E questa è la nostra condanna biblica. La tradizione legislativa italiana prevede che ci siano più funzioni di polizia che possono essere
svolte da una pluralità di corpi di polizia statuali ed il mantenimento della pluralità delle forze di polizia statuali si fonda solo su tradizioni storiche e difficoltà di riforma di un settore particolarmente corporativo. La pluralità dei corpi di polizia ha un fondamento costituzionale soltanto per la distinzione tra le forze di polizia o autorità di pubblica sicurezza cui sono affidati compiti di polizia. Ove, invece, alla polizia locale sono affidate funzioni di ausilio delle forze statuali, senza che ad essa residuino margini di autonomia.
Da innumerevoli anni si susseguono tentativi di riforma legislativa della polizia locale. Queste riforme, tuttavia, si muovono quasi sempre nella direzione del riconoscimento alla P.L. di qualifiche, attribuzioni e compiti in grado di equipararle alle forze di polizia statuali, ma sempre in funzione ausiliaria. Non vengono mai presi in considerazione, invece, i problemi riguardanti l’attribuzione dei costi delle
attività e la difficoltà dei comuni a sostenere l’impiego di un Corpo sempre più esteso e complesso. Per non tacere, cosa ancora più grave, che le differenze retributive, previdenziali e assicurative degli addetti rispetto ai corrispettivi dei poliziotti statuali,
rimangono abissali e ingiustificabili. Parafrasando Don Milani, possiamo ben dire che “non c’è nulla di più ingiusto che fare parti disuguali fra uguali”.

La volontà generale prevede che il sistema di gestione della sicurezza deve permanere frammentato nei tanti piccoli poteri. Tutto ciò che potrebbe fare diventare uguali gli attori protagonisti deve diventare residuale. L’uguaglianza non è contemplata. Meglio differenze e trasversalità, che lasciano tutto com’è.
Noi tutti, Organizzazioni sindacali e Associazioni Professionali, abbiamo il dovere di garantire lo sviluppo della tutela sociale, professionale, contrattuale degli addetti di Polizia locale. Ora, proprio con riguardo al principio di realtà, è chiaro che la
gigantesca polverizzazione e frammentazione della rappresentanza sindacale di categoria, eterodiretta con chirurgico disegno politico – siamo pur sempre il Paese di Machiavelli – ha accentuato il ritardo nel riconoscimento dei diritti e delle legittime aspettative, affievolendo il conflitto sindacale. Non sta meglio la rappresentanza associativa professionale, viziata anch’essa da
relativismo ideologico: ognuno è convinto di rappresentare il centro del mondo.

Ma nessuno lo centra. I numeri dicono che della loro rappresentanza sindacale e/o associativa a 8 su 10 appartenenti alla Polizia locale non importa un fico secco. Non lo ritengono rilevante per la loro vita. Si autorappresentano sui social o sui gruppi mediatici. Ognuno ha la sua voce. Ognuno è sindacalista di sé stesso. Siamo di fronte ad una rappresentanza sindacale residuale. Ma a questo dobbiamo ovviare una volta per tutte e lo possiamo fare solo tutti insieme. Se il sonno della ragione genera mostri, allora colleghi tutti: svegliamoci!
Smettiamo di assecondare il silenzio generale. Riprendiamo la strada dell’orgoglio di appartenere ad una categoria professionale coesa sui principi e solidale nella lotta per gli obiettivi comuni. Evitiamo di consumarci lentamente sul fuoco della politica parlata stringendoci a falange.
Mettiamoci in gioco tutti assieme, affinchè nessuno di noi resti indietro. La rivoluzione della Polizia locale o sarà universale o non sarà.
Se questo è il contesto complessivo, siamo nudi di fronte alla verità. Stiamo svolgendo un ruolo che non è tutelato dal punto di vista legislativo, contrattuale, economico, previdenziale ed assicurativo. Fino a quando? Non è venuto forse il momento di dire basta?

Nino Fiorenza
MAPLI Ita

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